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Ci raccontiamo

Se io potrò impedire a un cuore di spezzarsi non avrò vissuto invano
Se allevierò il dolore di una vita o guarirò una pena non avrò vissuto invano.

Mario B

Sono Mario, ho cinquantadue annI e sono di Montebelluna, un comune in provincia di Treviso.
Sono dializzato.

La mia storia si incrocia con quella di tante persone che, come me, hanno problemi renali..
Nel 2000, l’unico rene che avevo ha iniziato a perdere funzionalità con la conseguenza di dovermi sottoporre ad accertamenti clinici sempre più frequenti.
Nonostante tutto, questo periodo l'ho vissuto serenamente.
Mi sono impegnato, fra le altre cose a stare molto attento a quello che introducevo con l'alimentazione. Essere vegetariano da trenta anni mi ha molto aiutato e le rinunce che ho dovuto fare  non mi sono costate più di tanto.
“Consumare energia pulita” ed avere la consapevolezza di quanto sia importante alimentarsi correttamente è entrata a far parte della mia filosofia di vita.
L'aiuto e la sensibilità di mia moglie e dei miei figli sono stati per me, come la tavola alla quale si aggrappa il naufrago in mezzo al mare.
Tavola che arrivava propizia, proprio quando la serenità lasciava il posto alla depressione e alla disperazione ,che animavano le mie notti, dopo l'ennesima analisi andata male.
Così sono passati otto anni, durante i quali, grazie a lunghissime solitarie e notturne riflessioni ho maturato la decisione che nel momento in cui si sarebbe prospettata la dialisi come unica possibilità per la sopravvivenza del mio corpo non avrei voluto dipendere da una macchina e avrei chiesto a mia moglie di “lasciarmi andare” di lasciare che la natura facesse il suo corso.
Mi chiedevo come poteva un uomo libero come me, un uomo che per tanti anni aveva solcato i mari con la propria barca a vela, accettare di dipendere da una macchina per vivere.


Nel 2008, il nefrologo che mi aveva in cura, dopo l'ennesima analisi, mi faceva chiamare con urgenza. Mia moglie, intuendo quello che stava per accadere, decise di accompagnarmi.
Eravamo seduti di fronte e lui, con grande sensibilità, mi disse che i valori di riferimento della funzionalità renale erano peggiorati a tal punto che bisognava pensare ad una filtrazione alternativa.

LA DIALISI.

Da quell’istante le parole diventarono proiettili, proiettili che squarciavano le mie carni provocandomi un dolore impensabile. Mentre lui continuava a parlare, la mia mente vagava,non sentivo più nulla, una porta su una stanza buia mi si apriva davanti, un buio fatto di incertezze e di paure che il mio inconscio aveva per molto tempo tenuto nascosto e che ora mi scaricava addosso con il fragore di un mare in burrasca lasciandomi stordito e disorientato.
   Tutto il mio mondo, come un castello di carte crollava ed io mi ritrovavo a cinquantanni con in mano un pugno di mosche.

   Ora ho un catetere nell'addome e sono in dialisi peritoneale.

   Quando rifletto sul perchè ho cambiato idea ed ho deciso di continuare a vivere, la memoria corre al primo contatto con il reparto dialisi,   al primo incontro con la dottoressa Marcon ed il personale che collabora con lei al funzionamento della struttura.
Già dopo la prima visita qualcosa di diverso, di positivo si era insinuato in me.
Dopo un po' ho scoperto, con grande sorpresa, che frequentare il centro dialisi era stimolante.
Non ero solamente un nome su una cartellina ma, potevo interagire con il personale del reparto.
Mi fornivano, con tanta pazienza, tutte le informazioni che chiedevo integrandole con documentazione e visite guidate al reparto emodialisi e dialisi peritoneale.
Mi hanno illustrato la metodologia depurativa dei due sistemi, permettendomi anche di incontrare pazienti che dializzavano.
Ponevo loro tutte le domande che ritenevo potessero servirmi per farmi una idea di cosa avrei potuto scegliere come  terapia depurativa.

Nella primavera 2008 è stato organizzato il primo raduno per camperisti trapiantati e dializzati, al quale con grande spirito di sacrificio ha partecipato anche il personale del reparto con le loro famiglie.
A questo raduno ho sentito le storie di tante persone che, prima di me hanno scelto la dialisi peritoneale. 
Qualcuno di loro è stato anche trapiantato!
Ebbene sì, ho deciso di fare la dialisi grazie alla D.ssa Marcon, Nicoletta, Vince, Vania, Romana, e  a quelle persone, dializzate e trapiantate, che con la loro testimonianza hanno reso più facile il mio cammino.

Annalisa

Mi chiamo Annalisa e sono stata trapiantata il 26 maggio 2009.
Ringrazio per l’occasione che mi offrite di raccontare e condividere il percorso di malattia, certo non facile, che mi ha portato fino a qui oggi.
La mia vuole essere una riflessione sul come ho affrontato questa esperienza che è per noi tutti così faticosa e dolorosa e sul come  questo mi abbia trasformata.
Io ero, ovviamente, terrorizzata all’idea di dovermi sottoporre a qualsiasi tipo di dialisi e non nego di aver pensato a più riprese di  preferire la morte e di considerarla una specie di soluzione.
Fortunatamente i vari medici a cui ci siamo rivolti (io e mio marito perché in tutto questo lui è stato veramente mio compagno ) ci hanno sempre prospettato l’idea della dialisi peritoneale che a me sembrava una terapia un po’ più accettabile.
Ciononostante quando il momento è arrivato è stato ovviamente molto drammatico eppure oggi posso dire di essere stata fortunata per una serie di motivi:

-Anzitutto ho potuto fare dialisi peritoneale il che mi ha consentito di condurre una vita abbastanza “normale” per quanto riguarda il lavoro, i miei affetti, i viaggi e la quotidianità in generale;

-Ma soprattutto posso affermare di essere stata, più ancora che curata, accompagnata, sostenuta e incoraggiata dalla dott.ssa Marcon e dal reparto di dialisi peritoneale di Castelfranco Veneto e con la loro presenza, che è attenta, discreta e partecipe, mi hanno convinta che non ero sola e che quindi ce la potevo fare.

Per me è stato fondamentale sapere che loro c’erano ed erano pronti ad occuparsi di me e dei miei problemi, per non parlare dell’affetto, direi quasi del tifo che mi ha accompagnato successivamente per il trapianto.
E’ sempre grazie a loro che Mario S. e io abbiamo acquistato il camper perché mi hanno presentato Lelly che viaggiava ovunque con il suo camper.Ho iniziato a pensare che forse era possibile continuare a vivere, non la vita di prima, comunque vivere e continuare a gustare e gioire dei momenti belli che la vita offre.
In tutto questo ho avuto il supporto fondamentale di Mario S., mio marito, che con il suo inguaribile entusiasmo e profondo affetto non ha mai smesso di credere fermamente nella possibilità di continuare a vivere bene nonostante tutto e che un modo ci doveva essere. L’amore e l’ottimismo hanno un effetto contagioso, senza di lui, ne sono sicura, questa malattia mi avrebbe annientato. Noi abbiamo condiviso ogni momento: la disperazione, la paura per il futuro, l’angoscia, ogni speranza e gioia e credo che la condivisione sia una potente medicina.
Penso inoltre che ci sia la necessità di momenti di condivisione anche tra noi pazienti.
Per me è stato infatti molto importante l’incontro con Lelly che ama definirsi la mia mamma della dialisi, e molto bello aver conosciuto Mario e Gabriella, Gilberta ed Emilia e altri ancora. Ho percepito che per noi è importante creare una rete non perché come dice il proverbio “mal comune mezzo gaudio” ma perché ci sentiamo accomunati nello sforzo e nell’impegno di proseguire quotidianamente questo percorso e io ho vissuto e sto vivendo questo come una forma di solidarietà che mi sostiene.
Sono consapevole del fatto che il trapianto è una terapia e non la soluzione del problema ma oggi sono qui e sono grata di esserlo, penso sempre con gratitudine e affetto a tutti coloro che mi hanno curato e aiutato, ho imparato a vivere momento per momento e ad apprezzare tutti i momenti belli che mi si offrono; soprattutto ho motivo di ringraziare tante persone, familiari, medici, infermieri e amici che con la loro vicinanza hanno reso questo percorso, così duro, difficile e doloroso, un po’ meno pesante.

Lelly

.Il mio nome è Lelly, ho sessant’anni sono in dialisi da trenta mesi.

Ho iniziato con la emodialisi, poi la dialisi peritoneale manuale e da due anni con la dialisi peritoneale automatizzata (dialisi effettuata tutte le notti con l’ausilio di una macchina). Sapevo che con il problema che avevo ai reni un giorno il mio traguardo sarebbe stata la dialisi, parola che non volevo sentire, dicevo:

"meglio morta che in dialisi".

Ora eccomi qua, sono in dialisi e giro l’Italia con un piccolo “grande”camper, il mitico JOKER WESTFALIA a tetto alto, uno dei primi camper iscritto all’A.S.I come Veicolo Abitativo Ricreazionale Storico.

Mio marito lo ha adattato al trasporto del materiale e della macchina che mi permettono di effettuare la dialisi quotidiana.
Dimenticavo, nel camper c’è posto anche per Faard, un gattone persiano rosso, e per Fiocco, un barboncino Toy bianco.
Abitavo a Venezia, ma nel 2000 mi sono trasferita a Crespano del Grappa per essere vicina al Centro di Nefrologia di Castelfranco Veneto. Nel Reparto Dialisi ho trovato i miei due angeli custodi:
Gabriella e Nicoletta, infermiere professionali.
Sia l’intero staff medico che le infermiere professionali offrono la massima disponibilità e noi dializzati possiamo a loro rivolgerci in qualsiasi momento sia di giorno che di notte ed anche telefonicamente. Io dico a tutti che sono una dializzata perché la parola fa paura come tutto quello che non si conosce; poi alla fine si vive, io con qualche limitazione alla notte ma, di giorno, come tutte le persone “normali”. Passiamo circa quattro mesi all’anno in Val d’Aosta a Cogne, facendo base in campeggio in una piccola roulotte anche questa adattata alla dialisi, e poi si gira con il camper.
Nel 2003, dopo l’estate a Cogne, siamo stati un mese in Sicilia con base in campeggio e poi escursioni varie per l’isola.
Siamo arrivati in Sicilia percorrendo le strade statali andando lungo la costa tirrenica e ritornando lungo la costa jonica e adriatica. Essendo finita la stagione estiva nelle molte tappe del viaggio abbiamo sostato nei pochi campeggi aperti tutto l’anno e nelle aree di sosta attrezzate possibilmente con la corrente elettrica.
In camper io posso trasportare materiale per circa 10 giorni di dialisi (kg. 150). Se il viaggio è più lungo la ASL provvede a farmi trovare gratuitamente il materiale necessario all’indirizzo che preventivamente comunico, in genere un campeggio dove faccio sosta. La macchina per la dialisi necessita di 2,5 Ampere di energia elettrica che non sempre si trova nelle aree attrezzate, però oggi esistono dei generatori piccoli e silenziosi. Un mio sogno è che si realizzino molte aree di sosta con la presa per la corrente elettrica.
Mio marito, appena esce il Portolano, sottolinea tutte le aree di sosta dotate dell’elettricità. Quando io e mio marito si lavorava (io non avevo problemi), si sognava di poter viaggiare a piacimento, oggi che sono in dialisi per fortuna qualcuno ha inventato la macchina per la dialisi peritoneale; con un po’ di buona volontà, di adattamento e con un camper si può viaggiare come tutti.
Tanto è vero che finché potrò dializzarmi con questo sistema non penso di mettermi in lista di attesa per il trapianto.
Spero che qualcuno destinato alla dialisi possa leggermi e che la consideri non un punto di arrivo ma di partenza (magari in camper).
Non ci si adatta alla dialisi, ma la dialisi si deve adattare alla tua vita.

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